CALORE DI MAMMA
Folate di gelo fustigan le fronde
e sibili umani rantola il vento.
O sasso in ghiareto o tronco di faggio,
ha occhi quell’anima ma non più coraggio.
E’ immobile, tace,
sterpaglia sull’acqua o fiore di prato.
Il vento ruggisce, avanza, ghermisce,
e l’anima crepita lì nel camino,
è legno riarso, è legno ormai liso;
riscalda, è chiarore,
rallegra la fiamma fin quando s’invola.
Note:
Era un fine settimana dedicato alla pesca sul fiume Tirino.
Il vento gelido di marzo alternava ululati a sibili umani, scuotendo le chiome degli alberi.
Le acque trasparenti del fiume fluivano impetuose, trasportando sterpaglie.
Erano immobili solo i tronchi secolari degli alberi ed i sassi sommersi, giacenti nel letto del fiume, eppure quell’uragano non mi sconvolgeva.
Ero immobile come quei tronchi e come quei sassi.
Come fiore di prato mi lasciavo piegare dal vento, come sterpaglia mi lasciavo trasportare dalla corrente.
Mentre immoto era il mio corpo, dentro di me impetuoso era il vortice dello sgomento, nel vedere l’unico mio figlio salire sul treno della nuova vita che lo allontanava da me.
Profonde e coinvolgenti erano le riflessioni, totalmente pregnante lo smarrimento.
Cosa fare dunque?
Si può solo assecondare l’avventura della vita che si rinnova, donando le proprie residue energie, fino a quando ne è concessa la possibilità.